Financial Times: l'economia russa corre…. Con il debito/PIL che in Russia si aggira attorno al 15%, a fronte di una media europea dell'80%, rimane l’area di mercato più stabile per imprese e investitori. Mentre la Banca Mondiale lancia l’allarme sul debito dei Paesi emergenti la Russia “dorme sonni tranquilli”
A dispetto dell'introduzione da
parte dei Paesi occidentali, USA in testa, di un gran numero di misure
restrittive a partire dal 2014, la situazione dell'economia russa non avrebbe
fatto altro che migliorare e diventare più stabile in questo arco temporale.
Ad affermarlo è il Financial
Times, il quale afferma che i ritmi di crescita del PIL russo sono diventati
molto stabili rispetto al passato,
portando ad alcuni imponenti risultati come la creazione di un fondo sovrano
del valore complessivo di oltre 124 miliardi di dollari.
A contribuire al raggiungimento
di tale obiettivo è stata in primo luogo la grande capacità di adattamento
degli imprenditori russi, i quali sono riusciti a "trovare nuovi mercati"
per quanto riguarda l'export e a reperire "alternative interne" in
materia di import.
Di fondamentale importanza è
stata poi anche l'indirizzo dal governo di Mosca dato alla politica economica,
la quale si è tradotta in tre punti fondamentali. Politica fiscale, energetica e crescita del
mercato interno.
In primo luogo, il FT ha rilevato
l'applicazione di una politica fiscale, definita "prudente", la quale
ha permesso alla Russia di tagliare la spesa pubblica e, soprattutto, "ha
costretto le banche a mettere a posto i conti".
Tale fatto ha quindi consentito
al governo di investire decine di miliardi di dollari in programmi atti a
stimolare la creazione di alternative interne agli articoli di importazione,
rendendo possibile, ad esempio l'introduzione del divieto di importazione di
prodotti alimentari di provenienza europea.
Infine, viene sottolineato come il Paese abbia saputo reinvestire in
maniera decisamente intelligente i ricavi provenienti dal settore energetico,
facendoli confluire nel fondo sovrano del Paese.
Tra i maggiori risultati
raggiunti dalla Russia, il Financial Times sottolinea il dato relativo al
rapporto tra debito e PIL, che in Russia si aggira attorno al 15%, a fronte di
una media europea dell'80% (secondo le ultime stime in Italia il rapporto
debito-PIL ha raggiunto il 135%, ndr).
Ancora una volta suona l’allarme
debito. Questa volta riguarda i paesi emergenti e in via di sviluppo. (Estratto
da un articolo di di Paolo Raimondi)
Secondo il rapporto della Banca
Mondiale, “Global wave of debt” (L’onda globale del debito), pubblicato a
dicembre, il debito pubblico e privato di questi paesi a fine 2018 ha raggiunto
il record di 55mila miliardi di dollari. Dal 2010 il loro rapporto debito/pil è
aumentato del 54% fino a raggiungere il 168%.
La pericolosità della bolla
debitoria è aggravata dai rilevanti cambiamenti realizzati rispetto al passato.
Non si tratta solo di debito pubblico e di quello estero ma anche di debito
privato, in particolare delle imprese.
La crescita del debito aggregato
è stata favorita, se non sollecitata, dalla politica del tasso d’interesse zero
della Federal Reserve, della Bce e delle altre banche centrali. Anche la
liquidità dei quantiative easing, non utilizzata in investimenti nei settori
dell’economia reale dei paesi industrializzati, è spesso confluita verso le
economie emergenti in cerca di rendimenti maggiori.
Quando il denaro non costa più,
si avallano anche le propensioni a rischi elevati e al cosiddetto azzardo
morale, che nel medio periodo minano le fondamenta di qualsiasi sistema
economico.
Adesso un improvviso choc
globale, quale l’aumento dei tassi d’interesse o dei premi per il rischio di
mercato, potrebbe generare un pericoloso stress finanziario difficilmente
sostenibile. Si ricordi che, in merito al debito, la Banca Mondiale afferma che
“è la dose che può diventare veleno”.
Inoltre, si ritiene che il debito
non sia un male in sé, se è usato per promuovere lo sviluppo di lungo termine.
Se finisce, invece, in varie operazioni non produttive o addirittura
speculative, allora diventa non sostenibile.
Certamente i governi dei paesi
emergenti hanno molte responsabilità. Essi, però, seguono i modelli dei paesi
occidentali, degli Stati Uniti in primis, che di solito dettano le loro
condizioni da applicare all’economia e alla finanza. (Estratto da Sputnik)
Anche WSI ( Wall Street Italia
) scirve: l’allarme debito arriva dalla Banca mondiale.
Nel suo rapporto semestrale sulle prospettive economiche globali (GEP),
pubblicato ieri, l’organizzazione con sede a Washington, ha dichiarato che
negli ultimi 50 anni ci sono state quattro ondate di accumulo di debito. Le
prime tre sono state identificate tra il 1970-1989, 1990-2001 e 2002-2009. E
che l’attuale, iniziata nel 2010, è frutto dell’impennata dei prestiti,
cresciuti ai ritmi più alti dagli anni ’70.
La World Bank ha quindi esortato
i governi e le banche centrali a riconoscere che tassi di interesse, ai minimi
storici, potrebbero non essere sufficienti a compensare un altro tracollo
finanziario diffuso.
“I bassi tassi di interesse
globali forniscono solo una protezione precaria contro le crisi finanziarie”,
afferma Ayhan Kose, della Banca mondiale, aggiungendo che: “La storia dei
picchi del debito mostra che il finale è quasi sempre infelice.
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